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Nel leggere i policromi versi di Massimo Massa, arcobaleni vestiti di luce, non subito catalizziamo che lo sfiorarsi delle mani in una carezza, delle labbra in un bacio, dei corpi in un magico amplesso, sia la spinta decisiva per elevarsi verso sfere trascendentali, eppure così a portata di mano.

È un inno incessante alla donna amata: idealizzata nei propri sogni ma terrena negli ardenti desideri; blindata nell’angolo prediletto del cuore ma spasimata nella propria alcova... anche se lontana. Amore non sempre idilliaco, quindi, ma che scandisce i tempi della passione sbirciando dall’oblò delle ansie quotidiane, avviluppandola ad ogni circostanza di vita.

Ed allora, il poeta, attingendo ad un empirico e crudo realismo, Trascino i miei giorni nei silenzi d'ombra avvertendo Tracce d’Inferno quando dell’adorata ne pesa l’assenza. E scopre di dover fare i conti con le Dimenticanze, Per leggermi al contrario, Come specchio senza immagine!. E senza mai darla vinta al destino che frappone ostacoli ai piaceri dell’esistenza, il Massa prova l’attracco più indolore ai porti della vita, dopo aver sorvolato pianeti sconosciuti, nella certezza che “in un volar di piume torneremo a vivere!”.

Solo così il rumore dei silenzi che inaspriscono le lontananze, non induce a rinunciare al sogno, alla speranza, all’addomesticare la lupa di montagna. È la forza della parola, corposa ma “levigata” a dovere, ad indirizzare la poesia di Massimo oltre gli schematici archetipi della straripante onda della “poesia” contemporanea, verso un indeciso punto all'orizzonte”, nella consapevolezza di non essere Stilo che graffia fogli bianchi.

Mauro Romano
giornalista