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  • All'ora sesta

    Dibuono Edizioni, 2017

    A tutti, almeno una volta nella vita, capita di avere una voglia incontenibile di scrivere, di esprimere qualcosa da poter conservare su di un foglio di carta, magari lasciato ad ingiallire, o sulle pagine di un diario dimenticato in qualche cassetto della scrivania o forse nella memoria di un computer in compagnia di innumerevoli, inutili files. Qualcosa a cui si possa tornare prima o poi, una frase, un pensiero, un emozione.
    Chi ama leggere, sviluppa per lo scrivere una dipendenza da desiderio. Un ottimo scrittore è, di solito, anche un ottimo lettore, contrariamente, un appassionato ed assiduo lettore, non sempre è anche un ottimo scrittore. Ed è giusto così: la qualità vive nell’essenza.
    Umilmente, nella mia finitezza, amo definirmi un lettore prestato alla scrittura. Mi voglio accontentare; anche se mi piace sfidarmi quotidianamente dedicando del tempo, pur senza grandi aspettative, davanti alla tastiera del mio pc. D’altronde saper scrivere è un dono di pochi, che siamo soliti chiamare poeti o scrittori e non è il sentirsi tali che rende tali, ma è ciò che viene partorito dalla mente e dall’ispirazione in forma di parole, che trascende il singolo sentire per espandersi alla collettività; un parto reso gravido e fecondo solo da quanti sanno sedurre la poesia con promesse d’immortalità e di eternità.
    La poesia è dunque un’esperienza dell’ “Io”, un incontro con l’ego, tra noi e chi ci legge; in questo senso è oggetto di responsabilità condivisa. Non si esaurisce nell’atto dello scriverla, ma ha bisogno che esprima attenzione verso il mondo, verso la conoscenza e l’accoglienza; ed in questo vedere, la poesia non innalza barriere, piuttosto spalanca porte.