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Il Tempo spaccato a metà come la Vita

Mella tradizione ebraica, prima, poi in quella cristiana, l’ora sesta è il tempo della preghiera che si compie a mezzogiorno ed è il segno/simbolo della crocefissione di Gesù e del tempo che la contorna, incarnato in ogni uomo. Ecco “All’ora sesta”, il titolo della più recente silloge di Massimo Massa, che ha collegato subito la mia sensibilità di credente, amico, poeta, a una preghiera e ad una croce, alla metà del giorno. Il tempo spaccato a metà come la vita.

Di questo scrive il poeta, anima inquieta che viaggia alla ricerca di insoluti perché, di razionali spiegazioni alla sofferenza, di palpiti d’amore tra la rena del mare, le stelle nella teca del cielo, in un viaggio senza fine, con quotidiane partenze e quotidiani ritorni. Un uomo attaccato alla sua terra, alla terra dei suoi padri, alla razionalità geometrica che sembra non riconoscere la sua stessa anima, alla realtà diacronica del tempo esasperato nelle ambizioni d’infinito e nelle cadute che affliggono i sentimenti, allo splendore cromatico del sole, della luna, del mare come a quello degli occhi dell’amata. Con lo sguardo attento alla contemporanea umanità che patisce conflitti, guerre, oppressioni, sfregi, sangue e morte. L’osserva e scrive metabolizzando tutto “all’ora sesta”.

Ma l’occhio di Massimo Massa scruta anche il più profondo sé, l’osserva a volte freddamente, “intento a disegnare” treni, viaggi, come un leit motiv che accompagna il poeta “in simbiosi d’ogni forma/ d’un superfluo necessario” e lo porta a declinare fallimenti, abbandoni, lampi d’amore, con un silenzio fatto di mille sonorità “nell’afona pronuncia del mio nome”, “per ritrovarmi assorto/ – scrive – in un viaggio senza sosta,/ condanna spoglia di parole/ in cui s’annega la mia vita”.

La prigionia del silenzio, il tempo “analfabeta”, la voglia d’infinito, le braccia scure della solitudine, sono il condimento esistenziale alla pietanza che la vita gli mette dinanzi: “Oltre la misura d’orizzonte/ nascondo lacrime d’impotenza,/ senza identità è il mio contorno/ nella classifica del mondo/ come foglio vuoto di risma bianca”.

Il poeta trova la sua condivisione, disincantata ma anche lirica, quando prende le vesti e la vita e i sentimenti di chi si trova crocifisso all’ora sesta della sua esistenza: il clochard (“una vita d’illusioni/ spogliata d’ogni velleità”), il senza fissa dimora (“tra il vuoto dei bidoni/ e lattine agonizzanti/ sparse ai bordi della strada”), i bimbi abusati (“Ti spiano nell’anima/ nei tuoi occhi d’innocenza”), le donne violentate (“L’anima che resta/ segna rivoli sul viso/ col sangue delle mie ferite”), i morti di mafia (“Se mai l’oltraggio reso al cielo/ avesse avuto un senso”), i migranti (“l’ombra spenta nel ricordo/ di una madre che piangeva”), i bambini di Gaza (“Scenderà sera sopra Gaza/ sui bambini accampati tra le nuvole”), di Aleppo (“sono foglie al vento/ ombre spente che non dicono”), la gente di Kabul (“Non c’è tempo per gli addii/ sotto il sole di Kabul/ che sgoccia sangue/ e serra anelli di catene”).

Nella insopprimibile lotta tra la ragione e il cuore, Massimo Massa si ritaglia squarci di speranza, quasi follia d’amore capace di travolgere convenzioni e convinzioni intime e, come se l’aspettasse, vuole mettere il punto e tornare a capo, infinite volte, con infiniti ricordi di desiderio, di richieste d’amore travolte, e slanci di passione, di abbracci, di vita, d’infinito: “Eremita vive la mia anima” egli scrive, ma chiede all’amata: “Dimmi se mai parli alle stelle…/ dimmi se t’hanno mai risposto/ e se il mio nome t’hanno fatto”.

Possiamo forse dire che All’ora sesta completa il disegno della crocefissione e spacca il tempo dell’anima del poeta, oltre le effimere gravanti oppressioni della quotidianità: “L’universo che di te respiro/ mi cammina dentro/ in centimetri di luce/ indivisi al mio sentire/ mentre torno a capo/ per dare un senso alla ragione/ in concentrica incoerenza/ che le braccia mi piega in agonia”. Un libro da meditare verso dopo verso, per ritrovarsi a cogliere la profondità estrema di situazioni esistenziali comuni agli uomini e alle donne del nostro tempo, che non trovano la forza e il disincanto per mostrare l’inferno quotidiano e la speranza di un ulteriore viaggio, un altro viaggio dopo l’ora sesta.

Adolfo Nicola Abate
giornalista