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Nell’antica Roma, l’ora sexta era il nome stabilito per l’ora del mezzogiorno, la quale coincideva, più o meno, alle 11:00-12:00. Nondimeno, è rilevante osservare che l’antica Roma impiegava un sistema di rilevamento del tempo differente da quello che utilizziamo adesso. Nel corso del giorno, per calcolare il tempo, i Romani si valevano soprattutto di due dispositivi: le clessidre e le meridiane solari. Le clessidre erano dei congegni a forma di ampolla, colmati d’acqua, che consentivano di determinare il tempo sulla scorta dello scorrimento dell’acqua attraverso un foro. Le meridiane solari, invece, erano delle strutture che utilizzavano l’ombra proiettata dal sole per determinare l’ora del giorno. Per quel che concerne la stima del tempo durante la notte, i Romani si regolavano.
sullo studio delle costellazioni zodiacali. Le costellazioni zodiacali sono ammassi di stelle che si localizzano lungo l’eclittica, la traiettoria apparente del Sole lungo il cielo. Ogni costellazione zodiacale, come a dimostrazione Ariete, Toro, Gemelli, sorge ogni due ore approssimativamente. Pertanto, scrutando lo spuntare e il calare di queste costellazioni, i Romani erano in grado di definire l’ora durante la notte.
È singolare considerare che la genesi della parola “siesta” ha origine dal latino “sexta hora”, la quale vuol dire “sesta ora”. Tale termine designava il momento di pausa usuale successivo al pasto di mezzogiorno, allorché il sole era al suo culmine.

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La poesia è un codice planetario che può esprimere emozioni, riflessioni ed esperienze universali. Tramite la poesia, il vate può condividere la sua opinione sull’esistenza, sui sentimenti, sul creato e su tante distinte tematiche.
Però è altresì dovere del pubblico aprirsi alla poesia, farsi trascinare dai versi e comprendere il contenuto celato a tergo di essi.
Unicamente così la poesia può conseguire il suo fine, che è quello di collegare e unificare i singoli.

Il poeta Massimo Massa, cosciente dei suoi confini, si definisce un lettore che, talvolta, si mettere alla prova pure nella scrittura. Egli non si valuta un abile versificatore, ma, malgrado ciò, consacra del tempo alla scrittura, pur senza attendersi eclatanti esiti. Saper scrivere è un carisma di cui pochi sono dotati, ma non è esclusivamente l’appellativo di “poeta” o “scrittore” a definire le caratteristiche di un autore. Quel che rende un’opera di qualità è ciò che è riferito tramite i versi, che trascende l’individuo, onde appassionare l’intera comunità.

La poesia è un’esperienza individuale e quindi un incontro tra bardo e lettore. È un atto di responsabilità condivisa, nel quale la poesia non si consuma nell’istante in cui è composta, bensì ha necessità di venire ascoltata e capita. La poesia esige impegno nei confronti del mondo e del prossimo, poiché è esclusivamente tramite siffatta apertura che può spalancarsi a inusitate profondità e conoscenze.
La poesia non erige staccionate, anzi dischiude soglie verso il reciproco intendimento e l’accettazione delle differenze.
In conclusione, la scrittura e la lettura sono due dinamiche complementari, le quali si alimentano mutuamente. Saper scrivere è un dono, però saper leggere e comprendere le parole del prossimo è ugualmente fondamentale.
La poesia, segnatamente, è uno strumento rilevante per narrare e condividere emozioni e riflessioni, e postula l’impegno sia dell’autore sia del lettore per venire completamente accettata.

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Massimo Massa è uno splendido poeta che, con semplicità, si definisce umile, ma che, in effetti, è un talento eccezionale. Tale artista umile, con un’intensa sensibilità e un incontrovertibile magistero nella scrittura, arriva a mutare le parole in eccellenti meraviglie.
Le sue liriche sono un appello a librarsi verso universi emozionali in cui ogni verso è composto con impegno e concentrazione. La sua abilità nel captare le gradazioni più celate dell’esistenza e nel veicolarle con intensità è stupefacente. Massimo sa come stimolare le stringhe più intime del cuore, con una schiettezza disorientante e un’appassionata penetrazione dell’essere umano. I suoi versi raggiungono ipso facto il cuore, producendo emozioni che partono dal tenero abbraccio dell’allegria, fino ad arrivare alla struggente ansia della sofferenza.
Il suo cachet lirico è esclusivo e colto, con una padronanza tecnica che comprova il suo ampio dominio del codice poetico. Ciascuna parola è selezionata diligentemente e collocata con esattezza, producendo una cadenza affascinante e una musicalità che vibra tra i versi.

Eppure, quel che rende Massimo veramente singolare è la sua umiltà. Malgrado il suo daimon manifesto, resta incessantemente equilibrato e riconoscente per l’opportunità di condividere le sue poesie con il prossimo. Tale umiltà lo rende vieppiù attraente e mirabile, poiché conferma che il suo unico anelito è quello di condividere lo splendore dei suoi versi, escludendo qualsiasi ostentazione.

In conclusione, Massimo è un verseggiatore che merita di venire encomiato per la sua inconsueta abilità. La sua umiltà, fusa al suo estro congenito, produce una corrispondenza esclusiva che dispensa liriche che accarezzano l’anima e rimangono sculte nel cuore.

Mauro Montacchiesi
scrittore, saggista, critico letterario