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Quale che sia la motivazione o il nesso che ha indotto Massimo Massa a intitolare All’ora sesta la sua raccolta di poesie, la prima idea che suggerisce è quella della preghiera. Vi è, infatti, un evidente rimando alla liturgia della chiesa cattolica, ma anche di quella ortodossa e di quella anglicana, ove il tempo da dedicare alla preghiera viene scandito dalle ore canoniche; l’ora sesta, in particolare, è dedicata alla commemorazione della Passione di Cristo.

Sebbene addentrandosi nella lettura ci si accorga che non vi sono testi dalla specifica impronta di religiosità in forma classica, lasciando che i versi fluiscano dagli occhi al cuore, possiamo intravedere una sorta di preghiera sottesa, di implorazione latente legata alle ricerca del perché delle cose, del dolore, delle ingiustizie: quel senso del divenire, del tempo che scorre inesorabilmente e quella mancanza di un “non so che” di indefinito che sfugge dalle mani; poi le storie di gente che vive ai bordi della società, di donne abusate, di esseri umani che soffrono, per i quali il poeta ci svela in modo diretto il suo richiamo a “un Dio nascosto al mondo”.

La raccolta si snoda su due specifici percorsi: l’introspezione personale e le problematiche sociali.
In una continua ed evidente ricerca di una forma espressiva forte e incisiva, a volte chiaramente contaminata dalla propria formazione scientifica, l’autore ci comunica la sua percezione del tempo che scorre senza che “le voglie inconfessate” abbiano potuto realizzarsi, mentre “la follia d’un calendario/… /sgretola il capire sotto il peso degli sbagli…” e nel contempo ci fa quasi materialmente avvertire le “sensazioni sulla pelle/ che ristagnano celate/ nell’incedere del tempo”. Il tempo si fa inquietudine e stanca attesa, un’entità da cui ci si può solamente lasciar piegare, mentre la vita riprende a scorrere come un viaggio in treno da cui saliamo e scendiamo continuamente, ogni volta che un evento nuovo si manifesta.

E mentre gli anni passano “nel lento disfarsi di una rosa” è l’amore che riempie ogni spazio, che fa stringere “la metà del cielo fra le mani”, che diventa a volte mancanza, follia, “eresia dei per sempre”, naufragio, fiume che scorre nelle vene, unisono…

I sentimenti risultano rafforzati in ogni poesia dalla presenza degli elementi della natura e dai loro colori. Così la notte, il cielo, la sabbia, il vento che spira sulla pelle nella sera e soprattutto il mare e l’azzurro fanno da contorno inscindibile al mondo interiore del poeta. Gli stessi elementi naturali si ritrovano anche nelle poesie “sociali” a dare, in questo caso, un senso più greve ai versi che ci raccontano di un clochard, di una donna violentata (in cui l’autore si immedesima parlando in prima persona), di pedofilia, di storie di migranti, della guerra nella Striscia di Gaza…

È proprio in relazione alla sofferenza che l’uomo sa provocare all’altro uomo e alla personale rassegnazione all’ineludibile che, infine, il senso della passione intrinseca nel titolo si lega inscindibilmente a questa silloge.

Un filo di tristezza fa da sfondo costante ai versi di Massimo Massa, quasi consapevolezza che alle domande esistenziali, sia personali che relative al dolore dell’altro, il poeta non riuscirà a trovare una risposta esaustiva. Le poesie che compongono la raccolta arrivano direttamente all’anima di chi legge, talvolta piuttosto con l'effetto di un pugno allo stomaco (come in “Scenderà sera sopra Gaza”), talvolta, anzi il più delle volte, lasciando una scia di dolcezza infinita.

Maria Antonella D'Agostino
presidente Associazione culturale "Matera poesia 1995"