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Premettendo al discorso sulla poetica di Massimo Massa in “Nel tempo dell’assenza - tragitti casuali d’incomunicabili silenzi”, alcune considerazioni sull’Autore, le quali, a prima vista esulanti, si ritengono opportune all’approfondimento di una comprensione a tutto tondo del Nostro (a ché nulla passi inosservato), va detto quanto segue.
È tutt’altro che rara l’evenienza di editori che siano parallelamente scrittori, saggisti, poeti. Ve ne sono stati, ve ne sono e ve ne saranno, ma, ad una condizione, che essi posseggano un peculiare carisma, quello del bibliofilo, del Bücherwurm (secondo l’arguta espressione tedesca), ossia del “letterato” e, nella fattispecie, del “letterato editore”, come Alberto Cadioli ridefinì, nel 2017, la categoria dell’homme de lettres / auteur a vario titolo impegnato – in qualità di publisher, director o editor – in una casa editrice, ed il cui intervento può essere considerato, da una parte, il segno della sua militanza nella deliberata volontà di incidere sulla cultura del tempo in cui vive, dall’altra la testimonianza della sua personalità artistica. Tanti sono i nomi che si potrebbero fare: all’inizio del secolo scorso, Papini e Prezzolini, si danno all’editoria, esplorando la contraddizione tra missione e mercato, per tema che le Muse della creatività vengano sbaragliate dalle Sirene dell’industria; e la letteratura del Novecento italiano, mostra come alcuni tra i più grandi autori che il nostro paese abbia espresso – Elio Vittorini, Vittorio Sereni, Giorgio Bassani, Giacomo Debenedetti, Italo Calvino – in qualità di “letterati editori”, siano stati, forse ancora più, grandi e incisivi innovatori della cultura e della sensibilità poetica. Attualmente andrebbero citati Alberto Rollo, Andrea Bajani, Sandro Gros-Pietro… Non scrittori o poeti ‘prestati’ all’editoria, dunque, ma Autori che, investendo tempo e risorse nell’attività di editing e scouting, hanno creato collane, reperito testi contemporanei o ripescati altri dall’oblio del passato. Un lavoro, il loro, da una parte così intimo e, dall’altra, così aperto alla militanza culturale e sociale. Quanto alle propensioni di questa schiera di Editori-Autori, nell’ambito dell’attività letteraria a loro più congeniale – scrittura, saggistica, poesia e/o quant’altro – vanno considerate e chiamate in campo corrispondenze profonde, atteso che le radici di ogni predilezione scavano in zone della coscienza in cui l’orientamento non è unicamente dato dalla ragione, ma anche da molte e varie emozioni, per illustrare le quali non si potrebbe fare un discorso logico, semmai un’individuazione analogica. Ecco, Massimo Massa, director de “L’Oceano nell’Anima Edizioni”, nel novero degli attuali Editori/Autori, ha scelto di proporsi poeta e, «Nel tempo dell’assenza», egli è alla sua 4ᵃ silloge, ultima nata dopo Evanescenze (2013), Geometrie dall’Infinito (2016) e All’ora sesta (2017).
Già dal sottotitolo della silloge di cui trattasi – “tragitti casuali d’incomunicabili silenzi”– il Poeta, dischiudendo un esile quanto geloso varco d’accesso al suo mondo, comunica, in chiave ermetica, le attendibili direttrici d’accesso alla sua poetica: la profonda interiorità di contenuti dei silenzi dell’anima, la difficile comunicabilità e la casualità dei percorsi nell’approccio agli stessi, lungo i cui tragitti accostare sintonie di comprensione; dimodoché, nel tempo dell’assenza o, ch’è lo stesso, delle assenze – di chi… di quando… di cosa… di come… di perché… – a chi voglia condividere con l’Autore, motivazioni, sentimenti, afflati, non si offre che l’appassionante ed avventurosa via dell’intuizione. E, beninteso, intuire non è rapportarsi con ciò che è incomprensibile, bensì tendere – ancorché per il tramite della soggettività – al raggiungimento dell’ineffabilità della sensazione d’essere riusciti a penetrare là dove le parole non osano; e questo dono di sé la Poesia, a chi ad essa si apra – sia pur rimanendo negli ambiti d’imperscrutabilità ed inesprimibilità delle cose dello spirito – sa molto bene come concederlo.
La silloge del Massa si propone in tre registri poetici che ne assemblano i componimenti in definiti comparti: L’Assoluzione – In ogni battito del mondo – L’Essenziale, traducibili, se si vuole, in poesie del Sé, dell’Altrove, dell’Amore. Ma, tale suddivisione non si pone come imprescindibile, se mai come escogitazione, da parte dell’Autore, a teorizzare sul proprio mondo poetico, in un proposito-bisogno di sistematicità; pertanto, tale scansione non incrina la lettura globale né l’intima e salda unitarietà dei motivi ispiratori e del non frazionabile sentire che s’avverte pervadere, senza soluzioni di continuità, l’intera raccolta.
Sono vari i motivi ispiratori che vi si colgono, non tutti contenibili entro lo spazio obbligato di una prefazione né esaustivamente focalizzabili se non dopo una reiterata lettura dei componimenti; e, d’altronde, considerato che la poesia va ‘respirata’ e non narrata, non si ravvisa l’opportunità – com’è d’uso da parte di più d’un prefatore – di parafrasarne alcuni versi, e ciò nel rispetto dell’opera e dei suoi contenuti che sarebbe grave mancanza assoggettare alle proprie impressioni.
Come dianzi si diceva, nel caso della silloge di Massimo Massa in particolare, stante la casualità dei tragitti di incomunicabili silenzi, è bene procedere per intuizione, lasciarsi ‘scorrere’ dentro i versi e, senza soverchie implicazioni né svuotamenti semantici né tentativi di semiotica interpretativa dei testi, lasciarsi pervadere dalla purezza primigenia delle parole e dalle immagini che esse suscitano, rendendo possibile l’individuazione dei motivi di fondo.
Ci si accorgerà allora del senso della solitudine esistenziale, quando il vivere diventa mestiere da apprendere il più spesso senza risultati, in un universo di indifferenza, ingiustizia, distruzione, orrore, ove non allignano riti propiziatori di sorta, ma nel quale, tuttavia, l’arte, l’amore e la passione forse appaiono ancora come sostituti integrali dell’esistenza, per cui si ha timore che sfuggano, che ci si lasci soverchiare dal male dolce-amaro dei ricordi, da ciò che abbiamo sofferto o soffriamo, restando attoniti in un nichilismo da cui pur tutti i nostri sforzi non riescono ad eradicarci. Parlare a chi?... A se stessi? Evitare di comunicare? Preferire non farlo? Esserne come impediti? Cosa rende rischiosi i silenzi? La loro gelosa custodia, la ritrosia, o non, piuttosto, la paura che i nostri pensieri più intimi affiorino e ci guardino in volto? I timori, i desideri, le mancanze, i ripensamenti di una vita che sfugge ogni giorno di più, e tutto in un’attesa che mai definitivamente verrà colmata? Forse, per converso, i silenzi rappresentano il solo modo che ci è concesso per riconoscere verità e bellezza, per tradurre in poesia il senso dell’ἀλήθεια (alétheia), la non-ascosità che, in attimi indescrivibili di grazia, ancora traluce dai sentieri della nostra terra, dal suo mare, dai suoi tramonti e… da quelle “rose”, non sempre senza spine, che, quasi un rifugio dell’anima, tornano più volte, come motivo ricorrente del versificare, in questa, della maturità piena, poetica compiuta, seduttiva, letterariamente aristocratica.

Walter Scudero
Scrittore, poeta, regista, saggista
Medico anestesista-rianimatore
già Direttore ospedaliero di Day Surgery