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Enrico Del Gaudio

Ciento lire 'e puisia

 



È sempre difficile per me, ma credo per chiunque, parlare di una raccol-ta poetica, indicare ascendenze e singolarità dei componimenti o, compito assai più arduo, dell’animo dell’autore. E lo è ancor di più per chi, come me, è legato da un rapporto d’amicizia e di collabora-zione – essendo in questo caso anche l’editore – che prelude e precor-re l’attenzione letteraria.
Così come non è stato facile accettare la proposta di Enrico di intra-prendere con lui questo lungo percorso durato più di due mesi, che ci ha visto impegnati nella stesura e pubblicazione di questa sua opera, un progetto unico e particolare nel panorama letterario italiano della poesia dialettale. Inizialmente – e non me ne voglia il caro Enrico – ero un po’ perplesso sulle finalità dell’iniziativa (mi aveva parlato di una riunificazione letteraria del Regno delle Due Sicilie traslata nell’unione tra la Lingua Napoletana e quella Siciliana), ma strada facendo mi sono sempre più convinto della validità della sua idea, che fosse “vincente” e per questo, appoggiato anche dalla redazione di Oceano Edizioni, abbiamo deciso di collaborare con entusiasmo.
Tuttavia, non essendo persona di lettere che edifica poesie in lingua dialettale, mi sono affidato semplicemente alla musicalità del suo verseggiare in Lingua Napoletana cercando ritmi e armonie, sfoglian-do lentamente una pagina dopo l’altra lungo i mille rivoli di emozio-ni e riflessioni per estrapolarne il messaggio che lega e unisce i versi gli uni agli altri.
Ho cercato di comprenderne i contenuti analizzando il filo condutto-re del pensiero poetico di Enrico, piuttosto che soffermarmi sulla forma metrica scelta, non essendo profondo conoscitore di questo meraviglioso idioma, senza catalogare assonanze e dissonanze, suc-cessioni di terzine o quartine, rime baciate o alternate, insomma sen-za preoccupazione alcuna convinto dell’inutilità che questa fosse in qualche modo esaminata da personali riflessioni, visto le colte note introduttive di firme importanti del panorama poetico della poesia dialettale napoletana.
Non vuol essere un’asserzione di falsa modestia o eccesso di cautela la mia, ma palese consapevolezza di appartenere a quella schiera di semplici degustatori di poesia, cui è concesso esprimere liberamente un soggettivo e personale pensiero, un’analisi che parcellizza il profi-lo poetico dell’Autore per evitare di proporre come verità ciò che in-vece è solo opinione e giudizio personale.
Un compendio di impressioni dunque, formulate da un lettore come me, fermamente vincolato al presupposto che la poesia, quando è ve-ramente tale, vada liberata nell’intimo per stabilire una comunica-zione genuina con gli altri, attraverso il linguaggio, nel momento in cui la sua sostanza integra quell’intensità che risveglia insolite ed inedite suggestioni.

Forte e tangibile è il “corpo della realtà” che Enrico Del Gaudio de-scrive nella sua poetica, con versi e sentimenti che l’inchiostro ben riesce a trattenere e trasmettere e che condensano l’armonia d’una parola meditata, oculata e precisa intorno alle cose apparentemente esigue, agli oggetti semplici ma importanti del passato o compresenti in un viaggio introspettivo che registra piccoli e grandi eventi. Che si tratti di un braciere, dell’umile e solare venditore di ricottine o della sua Castellammare di Stabia, degli affetti familiari o di una vecchia macchina da scrivere, tutte le sue liriche sono grandi nell’essenzialità, nel nutrimento delle emozioni nell’anima, fram-menti poetici scelti e raccolti con cura per dare vita ai sentimenti con parole composte nell’interezza della forma quanto del significato.
Ne risulta una variegata ispirazione del dettato poetico, spesso incal-zante tanto da non invidiare la condizione di chi quei versi volesse declamare a voce alta. Gradevoli e significative sono anche alcune colorate espressioni che vivacizzano le liriche e che le popolano di immagini che sembrano recuperate dalla vita contadina.
Credo di poter affermare, a mio parere, che ci troviamo di fronte ad un’opera espressiva ed etica di grande spessore, in cui ironia e malin-conia, gioia e dolore, comico e tragico si amalgamano grazie ad una scrittura che riesce ad esprimere tutta la policroma complessità dell’esperienza umana attraverso liriche sapientemente curate, che assecondano lo svolgersi e lo stratificarsi per soffermarsi su momenti vissuti, particolari del paesaggio, visioni e ricordi e che, tassello dopo tassello, portano in superficie elementi sottesi e silenti di grande im-patto emotivo.
Ecco, questo è Enrico. Dialetto del “semplice” e pensiero da filosofo.